Gli architetti al centro della visione del domani

di Redazione OAR

Ultima giornata di SPAM dedicata a trovare delle risposte, anche minute e sussurrate, per delineare i tratti di una DreamCity da presentare alle istituzioni.

Molteplici gli elementi emersi in questa rassegna, a cui hanno partecipato molti tra i più grandi professionisti internazionali: ognuno con il suo modo, la sua ironia o il suo disincanto, ha seminato qualcosa che la società tutta oggi deve fare suo per elevare la comune concezione dell’architettura e tradurla in realtà.

Basta dare uno sguardo agli archivi degli architetti, grandi o piccoli che siano, per capire che la loro visione lungimirante ha da sempre esportato bellezza e funzionalità al di là dei secoli. Così come ha raccontato Erilde Terenzoni, referente archivi OAR, durante la presentazione del magazine AR n. 121 insieme al direttore Marco Maria Sambo. “A volte entrare in un archivio è un esperienza affascinante, in altri casi è deludente perché non trovi ciò che cerchi, ma è sempre un’avventura – spiega – esistono professionisti che hanno una tale confusione nello studio tanto da non trovare nulla ed altri che archiviano il più piccolo tratto di lapis”. Si potrebbe ricomporre la storia dell’Italia solo attraverso la lettura dei documenti contenuti negli studi degli architetti.

“Troviamo una splendida architettura anche nei sogni disegnati nella nostra storia dell’architettura”, precisa Luca Ribichini, Presidente della Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti di Roma.

Alessandro Melis, curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Architettura di Venezia 2020, fa risalire ad una mutazione genetica di 40mila anni il fuoco creativo dell’uomo, ovvero la sua tendenza a sviluppare immagini come risultato della creatività, non attraverso un atteggiamento logico, ma tramite l’esplorazione della mente senza un obiettivo preciso. “DreamCity è una parola chiave in questo momento perché sognare, è risveglio e riattivazione del pensiero associativo che guida il sogno lucido”. Melis individua la via salvifica nell’architettura climatica e nella sua capacità di progettare ambienti urbani flessibili, contestualmente e localmente, ai continui cambiamenti climatici dovuti all’innalzamento delle temperature.

Una grande responsabilità viene attribuita all’architetto dunque e Melis fornisce la spiegazione: “Dobbiamo prendere coscienza del diverso atteggiamento che dobbiamo assumere nei confronti dell’ambiente: si pensi che il 36% dell’inquinamento (riferito alla CO2 totale prodotta con il solo uso degli edifici) è dovuto alle costruzioni – spiega – secondo i dati elaborati dal centro di ricerca in cui lavoro, entro il 2050 avremo il 20% in più di abitanti, necessiteremo del 20% in più di territorio e ne avremo a disposizione il 20% in meno”.

E siccome SPAM è un festival in cui l’Ordine degli Architetti di Roma ha voluto porre anche nuove domande, da tenere sospese in cerca di risposte, Melis conclude: “Siamo sicuri che le città in cui viviamo non siano distropiche e che non ce ne rendiamo conto perché ormai troppo familiari e rassicuranti?” (GV)

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