di Redazione OAR
Adottare un approccio internazionale sin dai primi passi della carriera, cercando di cogliere le opportunità a disposizione in un mercato sempre più globale. Valorizzare, allo stesso tempo, le proprie radici culturali, la capacità di lettura acquisita in città complesse – come Roma – ed essere in grado, allo stesso tempo, di calarsi in contesti completamente diversi. La propensione a guardare oltre i confini nazionali, ampliando il proprio raggio di azione e il ventaglio di possibilità lavorative, è una condizione imprenscindibile per uno studio di architettura che punta a crescere, uscendo dalle “secche” – tra crisi e lungaggini burocratiche – che segnano lo scenario nazionale.
In questa ottica, è interessante osservare il percorso fatto da MORQ, studio fondato nel 2001 da tre architetti romani – Matteo Monteduro, Emiliano Roia, Andrea Quagliola – i quali, sin dall’inizio, hanno deciso di muoversi su un doppio binario: una sede a Roma, l’altra a Perth, in Australia. “La nostra attività – spiega Roia – nasce nella Capitale, con la sua bellezza e con i suoi limiti: questi ultimi, tuttavia, li abbiamo sempre intesi con una connotazione non negativa, ma – al contrario – come punto di partenza per il nostro modo di progettare. La scelta di approdare in Australia ha avuto origine, innanzitutto, nella voglia di crearci nuove opportunità che, a quel tempo, non vedevamo altrove”. Un passaggio facilitato dal fatto che due dei tre soci (Quagliola dal 2003 e Roia dal 2007) abbiano intrapreso in loco la carriera universitaria, ottenendo docenze (associate professor e senior lecturer) presso l’University of Western Australia (UWA).
Il primo incarico ottenuto in Australia, racconta Roia, “ci ha dato subito l’opportunità di confrontarci con una costruzione ex novo: cosa che non accade di frequente in Italia. Così abbiamo realizzato Courtyard House, una piccola villa progettata a Margaret River, a sud di Perth. Fino a quel momento a Roma avevamo lavorato sopratutto sull’interior design. Oggi la nostra attività tra i due continenti, prevalentemente nel residenziale e con committenza privata, si muove più o meno di pari passo, anche se mercato e tipologie urbane sono molto differenti. In Australia, la città – oltre al ‘cuore’ dedicato al business -, si sviluppa per grandi aree, sobborghi, dove dominano le case unifamiliari. In Italia, e a Roma in particolare, la situazione è diametralmente opposta: il tessuto urbano è molto stratificato e costruire ex novo è un privilegio per un numero limitato di architetti. Progettare è sempre una sfida avvincente, ma – ovunque – complessa”. In Australia, rispetto all’Italia, “il processo è improntato ad una maggiore chiarezza: le procedure sono più gestibili, la parte burocratica più snella ed è più facile entrare in contratto con enti e tecnici”.
Ma come si organizza il lavoro di uno studio con due sedi così distanti tra loro e qual è l’approccio di gestione più corretto? “L’idea in base alla quale ci muoviamo – afferma l’architetto romano – è quella di un vettore con una direzione unica. Fondamentale è il valore della condivisione: dei momenti importanti, quando si iniziano e si presentano progetti, e in chiave tecnologica, per quanto riguarda la documentazione. La distanza non limita la possibilità di lavorare insieme. Anzi, paradossalmente, può essere un vantaggio: con un fuso orario di 6 o 7 ore tra Roma e Perth, a seconda del periodo, può capitare che un lavoro appena sospeso da una parte, possa riprendere nell’altra sede. La gestione può costare di più, ma le opportunità sono maggiori”.
Trai progetti realizzati di recente da MORQ in Italia, ci sono Villa Ra (2018) e Villa O (in corso), entrambe in Calabria. A Roma lo studio completerà entro l’estate un lavoro sugli interni dell’intero edificio (cielo-terra) di un albergo in centro storico, vicino al Pantheon. Sempre sul territorio capitolino, lo scorso anno, i progettisti hanno portato a termine interventi in ambito ristorazione: da Retrobottega a Roscioli Cantina e Caffè. Sul fronte australiano, invece, alcuni degli interventi più significativi, in chiave residenziale, sono la Cloister House (Enclosed House I) e i due progetti per Enclosed House II e III.
“Elementi fondamentali del nostro modo di progettare – spiega Roia – sono: lo spazio vissuto, lo spazio fisico fatto di materia e luce, e, come loro sintesi, il background, ‘fondale’ scenografico quotidiano in cui le persone sono protagoniste. Uno dei nostri punti di forza, anche nei lavori all’estero, è lo studio sui materiali, con la nostra sensibilità che affonda le radici a Roma: i cui esterni, per noi, sono come degli interni. Lo stile e le idee che ci caratterizzano sono calate, di volta in volta, nella realtà in cui viene realizzato il progetto: dal territorio calabrese, affacciato sul Mediteranno, ad un sobborgo dell’Australia occidentale”.
Dialogo aperto con gli studi romani. La redazione OAR si confronta sul futuro della professione raccogliendo e raccontando progetti e riflessioni degli #architettiromani
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