di Redazione OAR
Una giornata dedicata al ruolo degli architetti nella cooperazione internazionale e nello sviluppo sostenibile in aree ad elevata criticità. Dalla costruzione di strutture di accoglienza, ospedali, scuole, alla realizzazione di micro interventi per favorire lo sviluppo delle economie locali. Ma anche dotazione di servizi – da quelli di carattere sociale alle risorse idrico-sanitarie -, organizzazione degli spazi di intervento, capacità di dialogo con le comunità locali. Obiettivi specifici di un progettista impegnato in aree complesse: sapere trovare soluzioni fattibili con gli scarsi mezzi a disposizione, impiego di materiali e tecniche costruttive diffusi a livello locale, rispetto della sostenibilità ambientale.
E’ un quadro concreto, dinamico e variegato quello emerso da “Spazi (o) alla cooperazione. Stati generali 0.0. Il ruolo dell’architetto nella cooperazione internazionale tra solidarietà e sostenibilità”, il focus organizzato – lo scorso 16 maggio, alla Fiera di Roma, in occasione di Exco 2019 – da Consiglio nazionale degli Architetti PPC e Ordine degli Architetti di Roma, in collaborazione con le associazioni ASF -Architettura senza Frontiere Onlus e AK0 – Architettura a Kilometro Zero.
All’appuntamento – mirato a mettere in luce il ruolo dell’architetto e il valore aggiunto delle sue competenze professionali nella gestione di progetti in situazioni di emergenza o in aree caratterizzate da una elevata complessità e a fornire informazioni utili ad approcciare il settore -hanno partecipato, in uno scambio di punti di vista ed esperienze, tutti i soggetti coinvolti sul fronte della partecipazione dei progettisti alla cooperazione internazionale: istituzioni, associazioni, professionisti, volontari.
A introdurre le tre tavole rotonde che hanno caratterizzato l’evento – “Il ruolo dell’architetto nella cooperazione”, ”Il ruolo dell’architetto nello sviluppo sostenibile” e “Professionisti italiani impegnati nella cooperazione” – sono stati i rappresentanti di Cnappc e OAR. “E’ fondamentale dare valore alla professionalità e alle competenze degli architetti italiani impegnati in scenari complessi”, ha rimarcato il coordinatore del dipartimento “Cooperazione solidarietà e Protezione Civile” del Consiglio Nazionale, Walter Baricchi, il quale – dopo avere presentato la guida “Lo Spazio morale”, una sorta di “primo strumento di orientamento per i professionisti che intendono avviare una esperienza nel settore” – ha annunciato “l’intenzione di dare seguito all’impegno sul tema con l’organizzazione di un evento dedicato in autunno-inverno prossimi”.
A sottolineare “l’importanza del contributo degli architetti nella cooperazione internazionale e del connubio con il sistema ordinistico” è stato Christian Rocchi, vicepresidente OAR, chiedendosi “quale sia, oggi, la frontiera della cooperazione allo sviluppo per i progettisti. Quali gli eventuali confini, che delimitano – in termini dimensionali o tipologici – gli interventi degli architetti sul fonte della cooperazione internazionale?”. Lo stesso Rocchi ha poi confermato l’intenzione dell’Ordine “di declinare le informazioni e gli input raccolti nel corso della giornata in attività concrete a supporto dei professionisti”.
Ecco alcuni spunti interessanti emersi nel corso dell’evento. Per Camillo Magni, docente di “Design e architettura Urbana” Politecnico di Milano e presidente di Architetti senza Frontiere Italia: “La fase della narrazione è finita, ora è il momento delle azioni concrete. Dalla responsabilità etica d’impresa al fatto che, ad oggi, nella cooperazione non esiste un capitolo di spesa dedicato alla progettazione: questa, ad esempio, è una priorità da affrontare”.
“L’importanza della formazione per un architetto interessato ad impegnarsi nella cooperazione internazionale” è uno dei concetti chiave espressi da Stefan Pollak, presidente di Architettura a kilometro zero, che rimarca come “assorbire competenze e fare – se possibile – esperienze di cantiere siano aspetti cruciali per imparare a gestire determinate situazioni in contesti critici”.
Se, da una parte, Luca Bonifacio – architetto, consulente UN, co-fondatore di Hopeandspace – si è chiesto provocatoriamente: “Cosa significa oggi fare architettura? Realizzare opere da archistar o fare un progetto per portare i servizi igienici in un Paese in emergenza?”. Dall’altra Stefano Piziali, responsabile Advocacy Policy & Partnership di WeWorld GVC, ha raccontato gli aspetti chiave di un intervento di water sanitation in Libano, sottolineando come “il coinvolgimento della comunità locale sia un momento cruciale”.
Va sul concreto Davide Pedemonte – architetto, artigiano e cooperante – che ha osservato come “nessuno, durante il percorso di studi universitari, ci ha mai insegnato che la terra possa concretamente essere un materiale naturale utile per costruire. Usare getti di terra e paglia, invece, è una soluzione che abbiamo adottato. Ovviamente, sono tecniche di costruzione (si pensi ai tempi per solidificare) che richiedono i tempi della natura”.
La cooperazione internazionale, ha affermato Nico Lotta, presidente VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, “è incentrata sulla relazione con gli altri. La cosa più bella è l’incontro, il valore di entrare in rapporto con mondi che, altrimenti, non avresti mai sfiorato”. Sulla stessa linea Alessandra Credazzi, presidente Architettura Senza Frontiere Onlus: “Un architetto che decide di impegnarsi nella cooperazione – ha detto – si mette completamente in discussione, sia a livello umano che professionale. Si attiva un processo complesso in cui ci sono aspetti ai quali dare grande rilevanza: fondamentale, ad esempio, è selezionare con attenzione i partner locali. Ma anche sapere affrontare le sfide: come essere capaci di ridefinire, all’improvviso, il budget a disposizione per completare un progetto”.
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