No alla serializzazione della progettazione

Lo studio romano Insula denuncia l’assenza di strategie per sostenere la promozione dei giovani

di Redazione OAR

 

Le criticità legate alla scelta di optare per una centrale unica di progettazione, le modifiche al Codice degli Appalti, la varietà di procedure di selezione e la fatica di riuscire a gestire l’attività imprenditoriale tra burocrazia e ostacoli che spesso soffocano il valore intrinseco di una professione come quella degli architetti. Questi i temi su cui si confrontano i professionisti, come raccontano dallo studio Insula, fondato dagli architetti romani Eugenio Cipollone, Paolo Orsini e Roberto Lorenzotti. Progetti e cantieri in Italia e all’estero, al lavoro a Roma per un nuovo hotel a pochi passi da Piazza San Cosimato e per un paio di esperienze residenziali in via Rocca di Mezzo ed in via Flavia.

Di questi giorni il dibattito sulle modifiche al Codice degli Appalti: centrale di progettazione, revisione al rialzo per incarichi diretti. Quali sono secondo voi gli scenari per la professione dell’architetto?

Il governo del territorio richiede una PA forte ed efficiente, con una struttura tecnica di altissimo profilo capace di gestire le trasformazioni urbane e di coordinare le competenze necessarie a garantire interventi di qualità. Deve detenere il compito della pianificazione: il processo decisionale non precede la fase di programmazione, ma ne fa parte. Altrettanto insostituibile è il compito di rispettare le procedure e i tempi per la realizzazione delle opere, garantendo anche l’efficienza degli impegni economici. Niente è più sbagliato di affidare la progettazione agli uffici pubblici, riducendo le sempre più limitate risorse ai compiti appena descritti per stornarle su attività che richiedono competenze molto diverse, proprie dei progettisti. L’idea di sottrarre la progettazione alla libera professione, e portarla all’interno delle PA, è una storia che si ripete ormai da anni e ritorna oggi. La centrale unica di progettazione rischia di creare un imbuto cui si rivolgeranno tutte le disastrate unità tecniche per ottenere progetti; una posizione di monopolio da cui sarà facile subappaltare al ribasso ai progettisti esterni, con probabili rialzi per gli incarichi diretti.

Cosa si dovrebbe fare?

Nell’ottica di rimettere in moto l’economia, si deve puntare alla standardizzazione delle procedure di selezione e affidamento, mentre va combattuto con forza il principio che si possa serializzare la progettazione, attività di per sé non replicabile che richiede approfondimento, conoscenza e creatività.

In Italia abbiamo pochi grandi studi di architettura e molte micro-realtà, ma non per questo di valore minore. Facendo tesoro della vostra esperienza come si fa ad avviare e mantenere viva la professione di architetto, oggi?

Roma è una realtà particolare. I grandi studi non ci sono proprio. Potrebbero esserlo Fuksas, ABDR, Amati, ma, secondo la classifica delle prime 150 società di architettura, fatturano percentuali ridicole rispetto agli studi con base a Milano, Genova o Bologna. Ci sono pochi realtà di medie dimensioni, da Schiattarella a Transit, da Valle a Moauro; al limite anche il nostro Insula. E poi una quantità di studi meno strutturati, che accedono al mercato delle opere pubbliche, in forma diversa. Ci sembra che il governo, con l’estensione del regime dei minimi a 65.000 euro senza limiti di età, stia dando un segnale molto chiaro: non si incoraggia chi si è strutturato in forme societarie. Non si vedono né strategie per sostenere la qualità delle opere né per la promozione dei piccoli o dei giovani. Per restare a Roma, le Centopiazze o i Menoèpiù sono lontani ricordi…

Le procedure concorsuali rimangono la migliore soluzione possibile? A Roma com’è la situazione?

I concorsi sono la strada maestra: ne servono di più e magari includendo le opere private significative sotto il profilo pubblico. Utile sarebbe semplificare le procedure per allargare le maglie di partecipazione, ad esempio con i concorsi a due gradi che rimandano la verifica dei requisiti ad una seconda fase in cui si richiede di strutturarsi per eseguire il lavoro. I concorsi bisogna saperli usare, bandire e coordinare per poi tradurli in procedure autorizzative conseguenti. All’estero le competizioni sono progettate da esperti con competenze specifiche. Positive sono le esperienza di Concorrimi, la piattaforma web dell’Ordine di Milano e Bologna, e quella della Fondazione per l’Architettura, nata su iniziativa dell’Ordine di Torino. A Roma i concorsi sono ancora pochi. Spesso si fa anche un uso improprio delle gare di progettazione, utilizzate per dare idea di efficienza degli uffici o per selezionare professionisti cui affidare per intero un tema problematico. Ci si trova davanti a progetti preliminari mediocri, sbagliati nei presupposti e, nell’ambito di una relazione metodologica, si deve spiegare come correrai ai ripari. Oggi la media dei ribassi con cui si affidano le gare è di circa il 45%: ci si scanna fra colleghi per trovarsi poi costretti a fare male il lavoro.

 

Dialogo aperto con gli studi romani. La redazione OAR si confronta sul futuro della professione raccogliendo e raccontando progetti e riflessioni degli #architettiromani

 

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