di Redazione OAR
“Roma ha bisogno di un meccanismo dinamico che scardini l’immobilismo e non la confini a museo di reperti archeologici”. Questa la ricetta per Roma secondo Anna Maria Indrio, architetto romano trasferitosi in Danimarca da giovane. “Si devono scegliere delle aree in cui portare una ventata di contemporaneità. Si potrebbe partire dal fiume Tevere per presentare al mondo un profilo diverso della città”. Così commenta il futuro della Capitale, bisognosa di ordine e pianificazione per aumentare la sua vivibilità. Dopo i grandi maestri di architettura dei primi decenni del Novecento, qualcosa si è inceppato ed il rapporto tra professionisti e città si è interrotto. Indrio, che ha lavorato con il rinomato studio C. F. Møller ed ora è partner di Norron ApS che si occupa di destinazioni e strutture turistiche, trova la causa nel sopravvento dei costruttori sugli architetti, che hanno perso il compito di capitano della nave capace di portare tutti sani e salvi in porto. Il periodo dello sviluppo edilizio attuatosi attraverso le palazzine non è stato realmente compreso dai professionisti che hanno lasciato campo libero ai costruttori, poco inclini alla cura del dettaglio.
Una donna che, ormai circa 50 anni fa, trova la forza e la tenacia di trasferirsi all’estero e lì continuare a studiare prima e lavorare poi, costituisce un esempio per tutti, in un panorama in cui l’immobilismo culturale dilaga. “Se fossi rimasta in Italia non so come sarebbe andata. Certamente non avrei realizzato il Museo di Storia Naturale di Londra o il Museo statale di Arte di Copenaghen. In Italia la burocrazia moltiplica i tempi ed i costi. La Certosa di San Martino a Napoli, ad 8 anni di distanza dalla fine dei lavori, è ancora chiusaperché mancano i soldi per le porte”. Come ha fatto a proiettarsi, in tempi difficili per una donna, per di più all’estero, su uno scenario internazionale? “Attraverso i concorsi aperti che lasciano spazio alla qualità dell’idea, ma anche con molta tenacia e una faticosa sintesi della ricchezza stilistica italiana con un’architettura nordica in cui la forma segue la funzione”. (GV)
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