Sisma in California, una lezione per l’Italia: tecnologie costruttive innovative e normative di sicurezza aggiornate 

di Redazione OAR

Torna l’incubo terremoto in California: il 6 luglio la scossa principale della sequenza sismica ha avuto la maggior intensità degli ultimi 20 anni, registrando una magnitudo 7.1 della scala Richter. Paura per la popolazione e stato di massima allerta nella verifica statica, e non solo, dei fabbricati, ma nessuna conseguenza seria. L’edilizia californiana ha ben reagito ai capricci della faglia di Sant’Andrea. Le difficoltà maggiori sono state riscontrate negli incendi, fughe di gas e black out elettrici.

Il giorno dopo, il 7 luglio, un forte terremoto di magnitudo 6.9 anche in Indonesia, nel Mare delle Molucche. Grande spavento per la popolazione che si rifugia in montagna per rischio tsunami rientrato in serata.

L’occasione dei terremoti delle ultime ore offre lo spunto per ribadire, al di là dei demagogismi e dei luoghi comuni, la differente risposta delle costruzioni a fenomeni tellurici comunque consistenti, visto che Amatrice ha contato 300 deceduti per il sisma del 26 agosto 2016, di magnitudo 6.0.

In California la maggior parte dei fabbricati è realizzata con strutture lignee (tanto che nel caso del fenomeno sismico di pochi giorni fa uno dei principali problemi è stato legato agli incendi). Il legno è di fatto un materiale che ben si presta all’oscillazione tellurica. Inoltre, negli Stati Uniti è diffusa la cultura della sostituzione edilizia (demolizione e ricostruzione), che consente di avere un patrimonio edilizio più recente e rispondente alle normative di sicurezza.

La conformazione delle cittadine italiane, invece, dense di storia e frutto di una stratigrafia costruttiva, che sono poi l’essenza del loro fascino, è molto lontana dalle logiche delle norme di prevenzione sismica. Per tornare ad uno dei casi italiani più recenti si ricorda che i palazzetti lungo Corso Umberto ad Amatrice erano stati edificati in tempi lontani, con pietre tondeggianti tenute insieme da una malta povera costituita spesso da terra ed acqua, al contrario delle chiese, edilizia più nobile, costruite con pietre squadrate. Non è un caso che queste ultime abbiano resistito alla prima scossa del 24 agosto. Non alle successive, perché davvero troppo forti e troppo frequenti (tra le 100 e le 200 al giorno). D’altra parte gli interventi di messa in sicurezza, che avrebbero preservato almeno il patrimonio storico – artistico, sono stati calendarizzati con molto ritardo o per nulla. Il disastroso terremoto del 24 agosto 2016, magnitudo 6.0 della scala Richter, che ha portato distruzione e morte in particolare ad Amatrice ed Accumoli, ha interessato un territorio che, anche se con uno scarso numero di residenti, era popolato da numerosissime persone tornate come ogni anno nei luoghi di origine.

Molte le parole spese anche da voci autorevoli sulla tragedia che ha colpito il Centro-Italia, molti meno i fatti visto che di ricostruzione si vede poco e niente, con il progressivo abbandono del territorio da parte di chi inizialmente aveva difeso eroicamente con unghie e denti la sua appartenenza.

Che fosse un territorio soggetto a movimenti sismici era ben noto: è la storia stessa di quelle terre a raccontarlo. Gli Appennini sono una catena geologica attiva e sono attraversati da molte faglie che possono muoversi in maniera imprevedibile, con terremoti in qualsiasi momento. Amatrice, semidistrutta da un analogo terremoto nel 1639, fu classificata come sismica già nel 1915 dopo il terremoto di Avezzano.

In questi giorni si è parlato di “scarsa manutenzione” sugli edifici, come causa della vulnerabilità del nostro patrimonio edilizio storico.  Approfondendo la questione c’è molto di più. Questi piccoli centri sarebbero dovuti essere oggetto non di semplice “manutenzione”, che pure è stata effettuata, ma di adeguamento sismico e di miglioramento sismico con progettazioni omogenee per aggregati. Non ha senso rinforzare staticamente un fabbricato se quello accanto è vulnerabile: renderlo strutturalmente autonomo e sicuro, soprattutto se inserito nei centri storici, risulta quasi impossibile per mancanza di spazi e di interventi coordinati. Le normative per le nuove costruzioni oggi in vigore sono molto scrupolose, tanto che i fabbricati recenti, se isolati, per lo più non hanno subito danni.  L’edilizia storica può raggiungere quei livelli di sicurezza solo dopo indagine approfondite, estese a tutto il borgo, attraverso piani unitari a coordinamento pubblico, iniziando dalle indagini geologiche – già obbligatorie per la nuova edificazione – in modo da classificare l’idoneità dei siti e progettare gli interventi in maniera oculata a partire dalle fondazioni fino alla struttura tutta. (LINK)

Un altro aspetto da non trascurare sono i vincoli a cui i centri storici sono soggetti, che spesso impediscono di intervenire radicalmente sugli immobili. Il paesaggio italiano è straordinario e forse possiamo azzardarci a dire che non ha eguali nel mondo. Ma la sua unicità è il risultato di un susseguirsi di epoche storiche e di conservazione dell’ambiente costruito che così è potuto giungere fino a noi. “Manutenzione” nel senso ampio del termine e rispetto dei linguaggi storici-costruttivi possono e devono convivere, ma solo con una prevenzione organica, unitaria ed oculata, effettuata con la profonda convinzione di dover anteporre a tutto il bene collettivo, si potrebbe far dialogare sicurezza e conservazione di ciò che abbiamo ricevuto dai nostri padri.

(GV)