di Redazione OAR
Nell’ambito del mese della fotografia, l’Ordine degli Architetti di Roma stimola il dibattito tra architetti e fotografi di architettura per meglio comprendere la relazione tra le due arti. Il 21 marzo alla Casa dell’Architettura avrà così luogo il convegno “Soggetto: Architettura”, durante il quale si avrà modo di riflettere sui diversi modi di misurarsi con lo spazio architettonico: chi attraverso un obiettivo (il fotografo), chi attraverso la sua modellazione (l’architetto).
In una società sempre più improntata sull’immagine, la fotografia diviene la più forte alleata dell’architettura, perché consente di rendere fruibile ad una moltitudine di persone lo spazio progettato. In qualche modo la rende anche mito, perché ne cristallizza lo stato a dispetto delle mutazioni che un ambiente subisce a causa dell’uso.
Indubbio è che “la fotografia non è mai neutra: anche se utilizzata per raffigurare un’altra opera, come nel caso della fotografia di architettura, ha pur sempre il filtro di chi guarda nell’obiettivo”, come ci racconta Mattia Darò, architetto romano e fotografo, uno dei relatori insieme a Angelo Maggi e Davide Paterna.
Dove però risiede il confine tra architettura e fotografia non è dato sapere.
La fotografia rende eterno un attimo. Ha senso un attimo in architettura? “La bellezza della fotografia è che ha senso in qualsiasi cosa. La domanda però mi stimola: forse chi fotografa solamente l’oggetto architettonico coglie meno aspetti di chi ne fotografa gli aspetti più vitali (l’uso, i suoi abitanti, il passaggio del tempo…)” continua l’architetto Darò.
Quindi fondamentale sarà indagare il rapporto tra un istante (la durata di uno scatto) e la longevità di un’architettura che vive di pari passo al modo in cui viene utilizzata.
Non è sempre detto che la fotografia venga dopo l’atto architettonico. Può anche essere mezzo di progettazione. Anzi, il poter fissare un’immagine consente di guardare con profondità, di comprendere e riflettere sull’esperienza fatta in uno spazio. La fotografia impone all’architetto di chiudersi in un momento di intimità di fronte alla sua opera, di cui può leggere la corrispondenza tra la personalità attribuitale in fase creativa e quella reale attribuitale dai fruitori.
Ricordiamoci che le due arti manipolano la realtà attraverso i medesimi attrezzi: luce, ombre, misure, spazio, atmosfera, colore, contrasti, l’una in maniera bidimensionale, l’una in maniera tridimensionale.
Da stabilire anche il limite nell’artefare un soggetto attraverso la post-produzione, affinché non si arrivi alla creazione di un’architettura falsa.