La dimensione sacrale dell’architettura nelle esperienze di Botta e Portoghesi

I due grandi architetti raccontano, in una conferenza alla Casa dell’Architettura, il loro approccio alla progettazione degli edifici di culto

di Redazione OAR

Allargare ai luoghi sacri la riflessione sul significato, oggi, del costruire e del progettare. Luoghi densi di spiritualità nei quali si indagano e si sviluppano – più che altrove – concetti chiave per l’architettura, come lo spazio e i suoi confini, il tempo e le origini, la luce, il rapporto tra passato e presente. E’ intorno a queste tematiche che si è sviluppata la conferenza “Il disegno dell’architettura: i luoghi sacri”, organizzata lo scorso 29 ottobre presso la Casa dell’Architettura dall’Ordine degli Architetti di Roma, in collaborazione, tra gli altri, con l’Ambasciata di Svizzera in Italia.

L’evento ha fatto perno sulla presenza di Mario Botta e Paolo Portoghesi, due maestri che più volte si sono confrontati con la progettazione di luoghi di culto e che hanno offerto a una sala gremita le proprie riflessioni sul tema, raccontando l’approccio al “Sacro” attraverso la lettura di opere realizzate (o in via di realizzazione), esperienze, scelte progettuali. Al dibattito ha partecipato anche Margherita Guccione, direttrice MAXXI Architettura.

“Il sacro – ha detto Luca Ribichini, presidente Commissione Cultura Casa dell’Architettura OAR e coordinatore scientifico dell’evento – rappresenta uno dei fondamenti su cui è radicata la civiltà umana. L’architetto, nella storia, è sempre stato chiamato a declinare questo concetto, a comprenderlo e trasformarlo in spazi. A riuscire a dare forma, attraverso i suo disegni, a una idea impalpabile di spiritualità. In questo senso il rapporto con il sacro è uno degli elementi fondamentali per scoprire dove l’architettura prende e trae linfa vitale”.

Portoghesi: Richiamo all’interiorità

“Il Sacro mi ha costretto a ripensare il rapporto con l’architettura”: è una delle frasi pronunciate da Paolo Portoghesi, l’architetto romano che, nel corso della sua lunga carriera, ha affrontato a più riprese la progettazione di edifici di culto. Dal 1968, anno del progetto per la chiesa della Sacra Famiglia a Salerno alla Cattedrale di San Benedetto a Lamezia Terme (“nata da un concorso”), passando dalla Moschea di Roma, fino a Santa Maria della Pace a Terni.

Per quanto riguarda la ridefinizione del proprio approccio attraverso il sacro, ha poi chiarito Portoghesi, “in un primo tempo l’ho fatto cercando il ‘totalmente nuovo’, facendo riferimento alla lezione di Borromini. Successivamente, mi sono reso conto dell’importanza di prendere spunto dalle cose che sono rimaste nella memoria delle persone e che costituiscono un bene universale. Quando si costruisce una chiesa, in particolare, si ha la fortuna di colloquiare con una comunità, i fedeli, di cui possiamo conoscere, in buona parte, il pensiero. Questo gradualmente mi ha condotto a non cercare più la novità fine a se stessa, ma un’idea di nuovo che provenga dalle radici”.

Infine, riferendosi alle città contemporanee, il maestro romano ha osservato che “nel costruire chiese, oggi, non bisogna immaginare edifici dominanti. L’architetto non deve cercare ‘imposizione’, né immagini clamorose. Non provare attraverso il trasformismo a competere con grandi opere, non fare ricorso ad una spettacolarità gratuita. Occorre, invece, sempre di più, il richiamo all’interiorità”. Un elemento fondamentale per i luoghi di culto? “La luce è essenziale – ha sottolineato Portoghesi – perché qualifica lo spazio sacro”.

Botta: La sacralità dell’architettura

“L’architettura porta già in sé una sacralità, che trasforma una condizione ‘di natura’ in una ‘di cultura’, mettendo l’uomo al centro dello spazio che deve organizzare. Non riguarda, dunque, solo aspetti tecnici o funzionali, economici e politici, ma tocca forme espressive proprie della cultura dell’uomo”. Così Mario Botta ha illustrato una primordiale e connaturata relazione tra l’architettura ed il sacro. Iniziando poi a raccontare l’episodio che ha cambiato il suo approccio con la progettazione di edifici di culto: la ricostruzione di una nuova chiesa sulle rovine della piccola struttura seicentesca consacrata a Giovanni Battista a Mogno, sulle Alpi svizzere, distrutta nel 1986 da una valanga di neve, insieme a una dozzina di case (fortunatamente disabitate). “Da quel progetto è iniziata la mia riflessione profonda, che continua tuttora, sul significato di costruire luoghi che affondano le radici in una storia antichissima, spazi preposti alla preghiera, al silenzio, alla meditazione: attività apparentemente lontane dal continuo correre della vita contemporanea”. Nel corso degli anni, ha aggiunto l’architetto ticinese, “ho avuto la fortuna di confrontarmi con le tre grandi religioni monoteiste attraverso la progettazione di chiese, moschee, sinagoghe”.

Dal centro parrocchiale San Rocco a Sambuceto (Chieti) alla Basilica di Nostra Signora del Rosario a Namyang (Seul) in Corea del Sud, in costruzione: l’impegno di Botta nella progettazione di edifici sacri ha avuto grande continuità negli anni. Allo stesso modo è proseguita la riflessione dell’architetto sul tema: “Il primo atto, essenziale, per fare architettura – ha spiegato – è quello di disegnare un perimetro, separando una parte dal tutto, un confine tra interno ed esterno, un’idea di limite. Questo atto diventa esplicito in una chiesa, attraverso il concetto di soglia. Per questo l’attività dell’architetto è portatrice di una serie di segni primordiali che hanno la forza primaria del gesto sacrale”. Nei nostri centri urbani, ha infine osservato l’architetto svizzero, “è stratificata una lunga storia e non possiamo certo cancellarla. Credo, come sosteneva Carlo Scarpa, che l’unico modo per rispettare il passato sia quello di essere autenticamente contemporanei”. (FN)