di Redazione OAR
Passi in avanti sul fronte della standardizzazione delle procedure per i concorsi di progettazione, l’utilizzo di piattaforme digitali e l’adozione sempre più diffusa del formato a due fasi. Ma tanta strada ancora da fare, ad esempio, sulla poca chiarezza della documentazione amministrativa e sugli aggravi in merito alle elaborazioni grafiche da consegnare. E, soprattutto, una situazione che resta critica sugli esiti delle competizioni: la realizzazione concreta di un progetto vincitore è, ancora oggi, un caso raro.
E’ una sorta di bilancio sullo “stato di salute” dei concorsi di progettazione in Italia – tra segnali incoraggianti e criticità irrisolte – quello tratteggiato da Giorgio Martocchia, uno dei tre soci fondatori (gli altri sono: Fabio Cibinel e Roberto Laurenti) di Modostudio, realtà fondata a Roma nel 2006, da sempre attiva nella partecipazione ai concorsi, sia livello nazionale che all’estero: appena vinto – è notizia di questi giorni – il bando, pubblicato sulla piattaforma concorsiawn.it, “per la valorizzazione del comparto cittadino denominato Aosta est”, area archeologica urbana ricca di testimonianze di epoca romana.
Sul tema dei concorsi, come strumento per lo sviluppo della qualità urbana e del territorio – con l’analisi della normativa che regola i bandi, le diverse procedure a confronto e una ricognizione su casi virtuosi a livello europeo – sarà incentrato il convegno “I concorsi di progettazione”, organizzato dall’Area Concorsi dell’OAR, in programma il 28 maggio (ore 14:30-19:15) alla Casa dell’Architettura (https://ordine.architettiroma.it/attivita-ordine/i-concorsi-di-progettazione-procedure-a-confronto/).
Un’evento, quello organizzato dall’OAR, al quale parteciperà, in rappresentanza di Modostudio, anche lo stesso Martocchia, che sull’argomento ha le idee chiare: “In questi anni – spiega – abbiamo partecipato a gare di progettazione private e pubbliche, in Italia e all’estero. Il bilancio, per quanto riguarda i concorsi pubblici nel nostro Paese, ha una doppia faccia: da un lato, si sono fatti diversi passi avanti, soprattutto grazie alle piattaforme digitali che hanno dato – finalmente – un taglio più istituzionale alle competizioni, contribuendo a standardizzare le procedure e favorendo la diffusione della modalità in due gradi, che permette di non investire troppo in termini di tempi e costi in un’unica fase. Ciononostante ci sono ancora tante criticità e molto lavoro da fare”.
Tra i nodi da sciogliere, secondo il progettista di Modostudio, “c’è quello della documentazione amministrativa che – complici le normative che negli ultimi anni hanno ampliato le richieste documentali – è caratterizzata da una complessità di fondo e poca chiarezza. C’è bisogno di snellire e stardardizzare le richieste. Il sogno sarebbe quello di registrarsi alla piattaforma per partecipare a un concorso e, tramite il solo inserimento della partita Iva, ottenere in automatico la verifica del possesso dei requisii per la gara, senza dover compilare decine di documenti”.
E, ancora, sarebbe molto importante “verificare la congruenza tra le richieste per gli elaborati di stampa e la reale modalità di visualizzazione degli stessi da parte della giuria che si occuperà di visionare le proposte progettuali. E’ inulte, infatti, elaborare un formato standard per la stampa su carta, di elevato livello qualitativo, se poi il progetto verrà visualizzato su un monitor, non alla scala adeguata”.
A monte di ogni considerazione, tuttavia, permane il vero punto di domanda che grava sui concorso in Italia: cosa succede dopo? E qui, purtroppo, lo scenario è tuttora desolante. “Lungo il nostro percorso – racconta Martocchia – abbiamo partecipato a concorsi di privati e li abbiamo realizzati. All’estero abbiamo vinto competizioni pubbliche per interventi su spazi urbani: è in costruzione, ad esempio, il progetto per il Sewoonsangga re-structuring citywalk, indetto dal Comune di Seoul – in Corea del Sud – per la messa in rete e pedonalizzazione di un’ampia area del centro urbano. Siamo risultati vincitori di concorsi pubblici anche in Italia ma, finora, non siamo mai riusciti ad andare avanti. Penso, ad esempio, al Parco urbano di Piazza d’Armi a L’Aquila. Speriamo che la situazione cambi”.
A Roma, in particolare, osserva Martocchia “l’ultimo grande tentativo è stato quello legato al concorso ‘meno è più’, ma non mi risulta sia stato costruito alcunché. La città avrebbe invece bisogno di un grande impegno. Ma c’è la volontà di recuperare gli spazi pubblici della città? Bisognerebbe partire da un ufficio concorsi che imposti una strategia per riqualificazione e rigenerazione urbana, ma anche dare supporto ai privati interessati a utilizzare questo sistema. Qualcosa si sta muovendo. L’Ordine degli architetti si è mobilitato. C’è ancora tanta strada da fare, anche sotto il profilo della sensibilizzazione sul valore dello strumento concorsuale”.
Ogni progetto ha la sua storia, ma esiste qualche regola sempre valida per chi si approccia ad un concorso in ambito urbano? “E’ necessario – sottolinea Martocchia – conoscere l’area nella quale si va ad intervenire da ogni punto di vista, formale ma anche sociale. Capire a chi e a cosa si rivolge il concorso, indagare la sensibilità del committente (la pubblica amministrazione) e chiedersi cosa si aspetta la popolazione residente. Studiare, annusare, comprendere il genius loci: sono tutte azioni che contribuiscono a migliorare la qualità del progetto”.
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