Quando i cittadini partecipano alla costruzione della città di domani

di Redazione OAR

Si può fare e anche bene: questo emerge dalla quarta giornata SPAM, dedicata all’Abitare la città. Non esiste un solo modo di abitarla ma ci sono anche persone che sono le stesse pur in differenti ambienti urbani e che si comportano diversamente in relazione allo spazio. “Più della metà della popolazione mondiale vive in città e lo vuole fare bene” osserva Kristina Knauf, urbanista dello studio olandese MVRDV, con un portafoglio progetti molto ricco.

L’architetto è ovviamente in prima linea quando si tratta di dotare i paesaggi, costruiti e non, di vivibilità e biosostenibilità. Deve andare oltre i confini della professione e avere un impatto deciso nel modo in cui la collettività vive. Forse è una questione di mentalità e cultura. Nello studio MVRDV si sono cimentati persino nella progettazione di una casa per maiali, in cui la committenza chiedeva un’alta concentrazione, pur mantenendo condizioni di salubrità e comfort per gli animali.

In questo contesto è intervenuto anche Giuseppe Cappochin, Presidente del CNAPPC, che attribuisce all’amministrazione pubblica il ruolo di generatore di spazio pubblico per innanzare la qualità urbana e generare un valore diffuso: “All’estero già succede. Un esempio è Lubiana”. Per Cappochin il tema della giornata riprende di fatto l’impegno del congresso nazionale tenutosi un anno fa, un’occasione per ribadire le tematiche care agli Architetti italiani.

“Abitare nelle città o la città?” si domanda l’urbanista di MVRDV. “Credo fermamente si debba abitare la città, con una prospettiva attiva. Non possiamo aspettare che qualcuno prima o poi renda perfetto il nostro ambiente urbano”.

Molteplici gli indicatori di comfort del paesaggio urbano su cui si deve lavorare. Mobilità, trasporti, spazi pubblici, verde, accessibilità, percorsi pedonali e ciclabili, densità abitativa e concentrazione nelle zone urbanizzate sono solo alcuni dei fattori da plasmare affinchè la città si adatti continuamente e collettivamente per un futuro migliore. Se si riesce ad attivare questo meccanismo di comfort, oltre al benessere, si genera un indotto anche economico, turistico e produttivo che diviene progresso in ambito urbano. “Lo spazio pubblico è spazio di comunità attraverso una pianificazione che adatti i progetti alle incertezze politiche ed economiche” sostiene Isabella Inti di Temporiuso.

Gli strumenti? “Uno indispensabile è il concorso di progettazione in due fasi, su cui lo stesso CNAPPC con l’Ordine degli Architetti di Roma stanno lavorando molto bene insieme” spiega Cappochin. “Devono essere competizioni aperte, in cui chi accede alla seconda fase, in genere cinque professionisti, viene pagato. Architettura senza retribuzione è sinonimo di scarso impegno”. E ancora: “Il gratis è contro l’interesse pubblico. Non vogliamo persone che progettano nei ritagli di tempo”.

Esistono criticità del nostro abitare i territori, molto differenti tra loro: aree sismiche, marginali, soggette ad inondazioni o congestionate dal traffico carrabile. Isabella Inti, dell’Associazione Temporiuso.net, precisa: “Bisogna riflettere anche sui medi e piccoli centri, resi fragili da cause naturali o da industrializzazioni spinte” – continua – “Incuria ed evacuazioni determinano smottamenti di interi territori”.

Situazioni borderline non devono indurre ad abbandonare aree anche vaste: “La gente vuole dare forme al futuro nonostante tutto – precisa Kristina Knauf – si deve partire dal basso, coinvolgendo la cittadinanza”.

Come? “In Olanda è facile perché la partecipazione è alla base della pianificazione. Solo gli abitanti possono darti un riferimento per lavorare e devono essere coinvolti, anche spiegandogli che più le aree urbane risultano dense e più la vivibilità è impellente”, racconta Knauf.

Giuseppe Cappochin insiste sulla centralità degli utenti: “Portare le persone al centro del progetto è una nostra responsabilità. Non possiamo più sopportare una viabilità di pericolo o condizioni di degrado. Si può e si deve procedere in questo senso – continua – rigenerare una città, al di là degli slogan, coinvolge tutti: urbanisti, economisti, politici, sociologi e cittadini”. Ricordiamo che il CNAPPC ha dato il via al progetto “Abitare il Paese”, di cui parte in questi giorni la seconda edizione. Per saperne di più: https://ordine.architettiroma.it/attivita-ordine/abitare-il-paese-bilancio-e-nuova-edizione-del-progetto-del-cnappc-con-reggio-children/

Si può sognare anche in termini di Abitare la città: più accessibilità, paesaggio, produzione di energia pulita, biodiversità, vegetazione, riuso e conservazione dell’acqua, ma soprattutto che si affidi agli architetti il compito di miscelare tutti questi elementi secondo giusta dose, con la consapevolezza che essere buoni cittadini significa partecipare. (GV)

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